martedì 24 marzo 2020

SEDICI



C’è un pezzo nel Giovane Holden in cui il protagonista parla delle varie cose che detesta, fra queste ci sono le persone che ripetono le cose due o tre volte, anche dopo che hanno già avuto ragione.
Holden mi avrebbe detestato: io lo faccio continuamente.
Così almeno mi ha detto Giulia in una delle varie discussioni che abbiamo avuto questa estate. Passare tanto tempo insieme, in formazione completa, in spazi ristretti e tempi dilatati, è qualcosa a cui, se ci penso bene, non siamo più abituati. Anche l’altalenante e variabile copertura di wifi, finisce per sbatterti l’uno contro l’altro e costringerti alle cose più semplici e banali. Come parlare.
Così parliamo, tutti, spesso uno sull’altro, ci sono risposte secche, occhiatacce, la voce, quella no, non l’alziamo mai.
Tutti vogliamo dire la nostra, ognuno vuole avere l’ultima parola. Io un po’ di più, lo ammetto.
Dicono che sia una fase inevitabile del rapporto madre-figlia: lo scontro, intendo, la frizione, qualcuno ci mette dentro anche la competizione. Io a questa non credo però. Già non sono competitiva di mio, e anzi, sono felicissima che lei sia giovane, bella, spensierata, vitale, sciocca quanto chiede la sua età.
Forse vorrei che mi assomigliasse un po’, tutto qui, per avere più punti di unione. Vorrei che le piacessero i miei libri, i miei film, vorrei che ridesse alle cose per cui rido io. Vorrei che le piacesse la musica che ascolto, invece ieri per radio c’era Santa Esmeralda, Don’t let me be misunderstood, con quell’assolo di chitarra e mani che battono a ritmo latino. E lei mi chiede:
-Ma a un certo punto cantano?-
Che vuoi dirle?
È che mi fa ridere. Davvero. E’ una persona simpatica, che fa belle battute, facce buffe, che scuote la testa, alza le sopracciglia per fare commenti che capisco perfettamente. E’ un po’ rigida, è vero, categorica, bianco o nero, ma diventerà più morbida, con il tempo.
Pure ansiosa, un po’ troppo. Pessimista? Forse.
Catastrofica? Almeno due volte l’anno.
Sincera e diretta. Al limite della diplomazia.
E’ una sorella che gioca, fa la lotta, ride, accudisce, insegna, ama. Tanto basta.
Un giorno mi ha detto che sono fortunata ad avere una figlia come lei, che mi devo baciare i gomiti. Io ho avuto un attimo di perplessità, perché è vero, la fortuna l’ho avuta, eccome, però qualcosa ho anche fatto, abbiamo fatto, per crescerla.
Volevo rispondere che è lei a doversi baciare i gomiti con due genitori così, poi ho ricacciato le parole in gola.
Un’ altra volta mi ha fatto piangere, magari ero io che ero stanca, dicendomi che ero pesante. Io ci ho letto dietro anche altro: che ero noiosa, vecchia, pedante, una pessima madre insomma, invece lei intendeva che la smettessi di torturarla con i compiti.
Per inciso, e a mia difesa, la scuola ricomincia tra venti giorni, e lei non ha fatto nulla se non una versione di latino e qualche pagina di inglese. Ha letto anche un libro. Troppa grazia.
Questa notte c’è una specie di accampamento in camera sua, siamo arrivate alle otto di sera, dopo circa quattordici ore di viaggio, e non è che fossimo in Brasile, e tac, alle nove c’era già la festa: amiche, patatine, arachidi, bibite, cocktail più o meno alcolici, aperol spritz, e via dicendo.
Ora sono su un treno per Riccione, ché
stare un giorno fermi a sedici anni è vietato.
Buona giornata amore mio. E buon compleanno.

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