martedì 24 marzo 2020

IL PROFESSORE ASSORTO



Incontrare persone a me fa bene. Più sono strane, meglio è.
Oggi per esempio entro in un parcheggio custodito, c’è un piccolo ingorgo, persone che entrano, altre che aspettano alla baracchina, penso di fare una cosa intelligente e parcheggio in un buco dove chiaramente blocco altre auto, poi scendo e vado verso il parcheggiatore a consegnare la chiave.
Sono in fila dietro un signore distinto che paga diligentemente, poi sta a me:
-Lei signora?
-Io ho messo la macchina là a sinistra-dico
-E ha fatto molto male. La sposti-
Non ride, è molto serio, vorrei fare una battuta ma tira una brutta aria. Così rientro in macchina e la sposto.
Sono in ritardo, mi aspetta il colloquio con un professore di Giulia. Tipo bizzarro. Me lo aspettavo più vecchio, invece potrebbe avere la mia età, qualcosa in più.
I colloqui a scuola rischiano di essere inutili e anonimi: i professori, tutti, hanno un ipad, niente compiti da guardare, nessun errore segnato in rosso da commentare, i voti li si è già visti sul registro elettronico. Cosa sono venuta a fare? Ad ascoltare parole, sentire racconti, a cercare negli occhi di altri adulti un po’ di empatia.
Quest’uomo che incontro oggi mi parla di mia figlia e guarda fuori dalla finestra, oppure un punto indistinto dell’aula, per qualche minuto guarda per terra. I suoi occhi non riesco a incontrarli che per brevissimi istanti, scappa via subito. È inevitabile, la scrittrice che abita in me oramai guarda le persone con quella curiosità lì, quella che cerca personaggi, manie, volti, espressioni, gestualità.
Non capisco se sia timidezza, o un certo pensare assorto, quasi rivolgesse le considerazioni anche ad altri, infatti parla di ragazzi, non solo di mia figlia: ragazzi che hanno poca grinta, che subiscono ansia, che sia arrendono subito, che hanno paura di fallire. È una fase, dice, con il tempo si rinforzano, trovano la sicurezza, la direzione.
C’è un ché di tenerezza nelle sue parole, d’un tratto non mi importa dei voti sul registro. Avere professori intelligenti che guardano oltre è più importante di un voto. Quando ci salutiamo finalmente mi guarda negli occhi.
Eccomi fuori dalla palestra dove mio figlio fa arrampicata, siamo in ritardo, corriamo, nella bussola di ingresso c’è un uomo: Giorgio si ferma, lo guarda, lo abbraccia.
…Come ti chiami? Quanti anni hai? Quarantacinque? Come la mamma. E tu? Io ne ho cinque.
Poi schizza dentro, si toglie la giacca, ed è già sulla parete, mentre io mi siedo a un tavolino del bar e così fa Maurizio, l’uomo della bussola.
Lui ordina un panino, lo vedo seguire con gli occhi il mio ragazzino che corre dentro, fa un sorriso e commenta:
-Problemi di relazione certo non ne ha-
Arguto, Maurizio. A rischio di sembrare una che fa la piaciona in palestra, attacco bottone, il tema sono bambini, lo sport, l’arrampicata, e perché no? I problemi di relazione.
Chiacchiere da bar, finché mi esce questa frase:
-Ad arrampicare si deve essere in due, vero?- e mentre la pronuncio mi accorgo che suona esattamente da piaciona che ci prova.
Che ne sa Maurizio che intendevo altro? Che l’essere in due in uno sport per me è un impiccio, un freno, l’obbligo di chiamare qualcuno, una noia, e tendenzialmente preferisco stare da sola.
Chissà cosa ha capito, Maurizio. Dopo qualche altra battuta sui bambini sente l’esigenza inevitabile di dirmi che è un prete.
Quindi oggi in sequenza ho incontrato il parcheggiatore scorbutico, il professore assorto, e il prete scalatore.
C’è abbastanza materiale per un libro. Magari noir.

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