sabato 1 luglio 2017

GIORGIO, IL GIAPPONESE

Trascorrere una decina di giorni con la mia ragazza mi ha fatto bene, mi ha fatto ricordare quanto sia bello passare del tempo con i propri figli, soprattutto quando parlano, ascoltano, ridono, consolano come un adulto, ma un adulto speciale, senza pensieri  e preoccupazioni. 
Il ragazzino però mi è mancato, perché a suo modo anche lui parla ascolta ride e consola. 
Poi scappa, e ancora devo capire come faccia con due gambe che non superano i quaranta centimetri a correre così veloce, dieci secondi e non c’è più, eppure era lì un secondo fa. Ecco, finiremo al publifono, e si cercherà per il lungomare di Riccione un bambino italiano di circa quattro anni, indossa un costumino…Un costumino? Oddio com’era il costumino? quello a righe? Sì, quello a righe blu, sperando che non se lo sia levato, il selvaggio.
Niente publifono, per fortuna è alle docce, aveva sete oppure seguiva una farfalla, chissà. 
-Mamma che succede? Non mi sembri felice!-
No, infatti non sono felice se scappi, se ti allontani correndo alla velocità della luce, e per inciso non sono felice quando mi pesti i piedi, quando rovesci l’acqua per gioco, quando rubi tutti i trattori della spiaggia, quando fai la pipì negli ombrelloni altrui, e poi non continuo per non ferirti. 
Però ti amo lo stesso, e non è vero che non sono felice, lo sono, e penso tu sia il bambino più simpatico che abbia mai conosciuto.
Sarà per gli spruzzi di un irrigatore che ci fanno la doccia e ti fanno alzare le braccia e dire: ‘oh no, adesso ricomincia a piovere!’ , o per un bagno lungo eterno, dal quale ti devo trascinare via di peso, che ti fa appoggiare la guancia fredda sulla mia spalla e dire: -Mamma io adoro l’acqua-
Nessuno come un bambino, sa far ridere fino alle lacrime e commuovere un minuto dopo, strappare il cuore a tradimento o sollevarti il morale.
Come quando cadi, e, ti giuro, non conosco nessun altro con la tua soglia del dolore, perché, sempre, ti rialzi e dici: -Sto benissimo, è solo una bubbina-
Lo so, è un’overdose di melassa, uno sdolcinato sproloquio da madre emotiva dal cuore più molle di un budino. Perdonatemi, o abbattetemi, oggi va così.
Ho due figli, sono un po’ dei figli unici, per quanto si possano amare, saranno sempre poche le cose che potranno condividere dello loro quotidianità, e se pare un pensiero triste o malinconico, non lo è, perché questa distanza consegna a me, madre, e a loro, figli, del tempo meraviglioso da passare solo in due.
Fantastico sui viaggi che farò con lei, in lotta tra musei e shopping compulsivo, e quelli che farò con lui, alla scoperta di tutto. 
Quindi caro il mio ragazzino pestifero, ti sbagli, sono felice, e benché abbia riconosciuto nella tua affermazione dolce e preoccupata la stessa che Masha rivolge ad Orso quando finiscono i lecca lecca, dovrai perdonarmi una volta in più, perché io prendo maledettamente tutto sul serio, ma ci sto provando, giuro, ci sto provando. 
E, di citazione in citazione, concludo ringraziando della pazienza che hai avuto, accompagnandomi a sentire uno scrittore che mi piace. L’ho fatto anche per te. Perché un giorno ti regalerò un paio di libri, di cui rileggo piccoli pezzi ogni tanto come scacciapensieri. Uno ti riguarda, e lo amo particolarmente. 

Sono i Momenti di trascurabile felicità, Francesco Piccolo. Nella prima di copertina c’è una dedica dell’autore : ‘a Giorgio, il giapponese’

DUE COSE


È possibile che l’esame di terza media sia uno scoglio che ho sottovalutato, forse perché dal mio sono passati trent’anni e ricordo solo due cose: qualcuno che mi sottrae la bella copia del compito di matematica a una decina di minuti dalla consegna e una gonna di cotone blu con le balze che avevo all’orale.
Non saprei neppure il voto che ho preso se non me lo avesse ricordato pochi giorni fa la stessa persona che mi sfilò il compito.
Voglio dire: ci sarà il liceo, magari l’università, e nessuno mai ricorderà questo preciso esame, il cui peso specifico nella vita e nella carriera lavorativa di chiunque è pari al foglio su cui ne sarà stampato il voto.
Eppure oggi, mentre aspettiamo in sequenza:  il caldo torrido di caronte, il concerto di Tiziano, e, per concludere, il giorno dell’orale, in casa l’aria si è fatta pesante. Di solito ho una soluzione per tutto: per caronte ho una nuovissima ed efficace aria condizionata, per Tiziano ho promesso di comprare una bandana, ho  guardato la scaletta e ascolto la playlist malinconica senza battere ciglio,  per l’orale invece non so che fare oltre a guardare per la terza volta Pearl Harbour ed il ciuffo biondo tinto di Ben Affleck. 
In realtà una strategia l’avevo: ho mandato via il piccolo disturbatore, ho ricavato un po’ di tempo dal lavoro, e soprattutto ho incamerato buonumore, energia e ottimismo a prova di adolescente nervosa e scostante.
Ma non basta. Se oso dare qualche consiglio  a bassa voce, come al solito non ho capito niente,  se faccio una domanda di storia è quella sbagliata. Se minimizzo l’importanza di questo esame rischio di essere incenerita, se  provo con la distrazione, di nuovo non ho capito.  Non è tempo di frivolezze, lei DEVE studiare. 
Mentre capisco e riconosco questa agitazione pre esame, soprattutto di chi porta la lettera A ed è il primo del registro, cerco di insistere sul fatto che essere i primi è un vantaggio, ma di me non si fida, non so perché. Forse mi odia.
Io credo che anche lei, come me, dimenticherà parte di queste giornate, tutto di questa ansia, e forse anche l’esame intero.
Quindi oggi scrivo due cose, perché voglio, un giorno tirarle fuori dal cappello e farla ridere.
La prima è lei nella nostra piccola cucina, i pantaloncini di jeans, una maglietta a righe e i capelli raccolti sulla testa. Balla una canzone di Tiziano, la canta dall’inizio alla fine, con le sue mosse da musically, quelle che di solito detesto. Ma non stasera. 
La seconda è questo brandello di interrogazione, in cui mi calo perfettamente nella professoressa che avrei anche potuto essere, e simulo l’orale di italiano:
-Dunque Ancarani, tra i personaggi dei Promessi Sposi quale ti sembra il più complesso, o quale è la figura che ti ha colpito maggiormente?-
-Direi l’Innominato-
-Bene Ancarani, e dimmi, ti è piaciuto il romanzo?-
-Si, mi è piaciuta la storia, i personaggi, il fatto che passano in mezzo a molte difficoltà. Solo una cosa mi ha deluso-
-Davvero? Che cosa ti ha deluso? -
-Il finale.  Francamente, dopo tutte quelle pagine, neanche un minuto per il matrimonio. Insomma da Manzoni mi aspettavo un po’ di più. Non sei d’accordo?-