giovedì 24 maggio 2018

LESSICO FAMILIARE

La mia carriera in fatto di incidenti stradali non è un granché, ma merita comunque una riflessione, almeno oggi, dopo che ho firmato il terzo cid della mia vita.
UNO.
Regolarmente parcheggiata in via Bellacosta, apro delicatamente la portiera per scendere. Giulia è dietro, ha cinque anni, ed è legata nel seggiolino. Mi chiama:
‘Mamma voglio scendere anch’io. Slegami la cintura.’
Il tempo di girarmi a sganciare il pulsante, la portiera che si richiude, uno, due, tre BOOM! La portiera non c’è più, sradicata dal resto del telaio, tranne per un piccolo pezzo di cerniera.
Dalla macchina che si è fermata, più avanti,  scende un anziano. Gli sanguina una mano, mi chiede: ‘Tutto bene?’
‘Insomma.’
Giulia nel frattempo è scesa, non si è fatta nulla, solo un po’ di paura.
Il vecchietto è dispiaciuto, scuote la testa, dice: ‘Mi scusi, sto tutto a destra per evitare quelli che escono dai passi carrai. Deve essere il mio giorno sfortunato, anche l’altr’anno, stesso giorno, ho centrato un furgone di rumeni. Proprio il mio giorno sfortunato.’

DUE.
Ho fatto una semplicissima retromarcia in via Castiglione. Sempre con Giulia, sei o sette anni. Maledetto angolo cieco. Comunque sento un botto, forte, guardo dietro e non c’è nessuno. Tremo. Dio mio, penso, ho preso un bambino.
Scendo, non è un bambino, grazie al cielo, però è una signora, di una certa età, è vigile e cosciente. Mi avvicino subito:
‘Signora, signora?  Mi scusi, non l’ho vista, come sta? Mi scusi, aspetti che la aiuto.’
E’ sdraiata a terra, sembra molto dolorante,  vedo che fa fatica a parlare, indica la gamba: ‘Il piede- dice- Il piedeeeeee!
Niente,  il piede è rimasto sotto la ruota.
Oh Gesù. Risalgo in macchina, rimetto in moto, ingrano la prima. Giulia è sempre nel seggiolino. Impietrita.
Libero il piede della signora. Scendo. Intanto almeno venti passanti sono intorno a noi e mi guardano come fossi un’assassina. Tipo il film di Benigni. ‘Assassino… Assassino….’
La signora non vuole andare in ospedale, vuole andare a casa, vuole chiamare suo figlio. Le dò il mio numero di telefono, lei mi dà il suo. Me ne vado sentendomi un po’ meno di un'assassina, ma comunque male. La sera la chiamo. Così il giorno dopo. E quello dopo ancora. Non ha mai, mai risposto.

TRE.
Sono solo una passeggera di dieci anni. E’ mio padre alla guida, sulla strada per il Corno alle Scale. Ancora oggi credo che la mia reticenza a sciare sia dovuta a quell’incidente.
Intanto ha una catena sola. L’altra presumo l’abbia persa. Ha nevicato pesantemente, la strada è tutta bianca. Noi andiamo lo stesso, con una catena sola. Quando diventa chiaro che non riusciamo a proseguire lui dice: ‘Torniamo indietro, andiamo a comprare le catene.’
Magari.
Al terzo tornante in discesa, la macchina non risponde. Mio padre scuote la testa: ‘Ho fatto una cazzata, stringiti a me.’ Io eseguo, chiudo gli occhi mentre la macchina vola, o scivola, comunque finisce su un albero, ruotata sul fianco, dalla sua parte.
Ti sei fatta male? No. Bene, neanch’io. Scendi -dice-
Certo, come no! Aspetta che mi arrampico. Arriva qualcuno, mi aiuta.

Non ricordo di avere detto nulla, ricordo un carro attrezzi che tira su la macchina, il parabrezza disintegrato. E mio padre che dice: ‘Bene adesso andiamo a sciare. Ma mi raccomando, non dirlo alla mamma.’

QUATTRO. Torniamo ad oggi. Anche qui, una manovra stupida. Esco da un parcheggio che già non era stata una grande idea, in curva, davanti alle strisce pedonali. Comunque non la vedo arrivare, lei avanza piuttosto veloce e mi viene addosso. Si accartoccia la fiancata, la sua. Io non sono né soccmel Schumacher, né un esperto di codice della strada. Quindi alzo un po’ la voce, perché, tutto sommato, è lei che è venuta addosso a me.
‘Aspetta che chiamo il mio fidanzato.’-dice
Sono stanca e bellicosa.
‘Va bene-dico- aspettiamo il tuo fidanzato.’ E già un po’ mi incavolo con queste donne che hanno sempre bisogno di un uomo per risolvere un problema o per firmare un cid.
Appena arriva gliene dico quattro. Penso.
Macchè. Arriva un Genny Savastano di Vibo Valentia. Con i tatuaggi e gli orecchini. Magari è un pezzo di pane, però nel dubbio…
‘Hai torto marcio’ sentenzia
‘In effetti’ dico. Se mi chiede direttamente un assegno, quasi quasi glielo firmo…
Così rientro in macchina, e mi deprimo. E ripenso al viaggio di ritorno fatto con mio padre dal Corno alle Scale. Lui vestito da sci con la tanto di maschera. Io dietro, sdraiata sotto dei panni. In autostrada così. Senza parabrezza, mentre nevica. Senza neanche il conforto della mia mamma.
Lessico familiare. Domani chiamo Recalcati. O il telefono azzurro. O l’assicurazione. Che è meglio.

SCENA MUTA



Filosofia è la materia che ho portato come prima all’orale di maturità, Henri Bergson era la domanda a piacere che avevo preparato, perché avevano garantito di farla a tutti, così, per sciogliere la tensione. Bene.
Raffaele Ghidini fece l’orale prima di me e l’ultima domanda che dell’esaminatore fu su Henri Bergson. Fine della domanda a piacere. La mia tensione, quindi, l’unica, a essere alle stelle.
Il programma era lungo eterno, io credevo di avere più tempo e misi la croce sopra alcuni capitoli: L’io-non io di Fichte, Ludwig Feuerbach, e la critica della ragion pratica di Kant.
Uno due tre, le prime domande del mio orale di maturità, nella mia materia. Scena muta. Quattro. Non male.
Sono passati quasi trent’anni, ma lo sguardo della mia professoressa di filosofia lo ricordo ancora, il modo in cui arricciò le labbra e scosse la testa. Io abbassai le palpebre qualche secondo, per sentirmi, da sola,  un piccolo verme inutile.

Diventi adulta, impari tante cose, ti impegni, lavori, magari scrivi, e sogni. Che cosa? Quello che sognano tutti gli scrittori: di pubblicare un libro, un racconto, di vederlo andare in giro, di sapere che qualcuno lo ha letto, lo ha capito.
Il piccolo verme inutile dorme da tempo, non disturba. Solo ogni tanto si affaccia timido, mi ricorda che è sempre lì, in agguato, pronto a saltare fuori alla prima soddisfazione.
Eccolo qui, torna fuori alla libreria Ambasciatori, luogo dove ho assistito a presentazioni, cercato libri, idee, ascoltato scrittori, quelli bravi, raccontare di romanzi, quelli belli, fantasticando, un giorno, di essere là, dall’altra parte.
Oggi è così, merito di un ragazzo con tante idee, di un gruppo solido  e stimolante, di un’editrice coraggiosa e di una raccolta di racconti. Nostra. Piccolo sogno che si avvera.

Ma il piccolo vermetto è lì, di fianco a me, e chissà come, mentre un giornalista mi allunga il microfono, si insinua tra le mie corde vocali e dice: No, grazie. No grazie. Grazie, no. Neanche fosse Cyrano de Bergerac.
Non sono certa, ma credo di avere abbassato gli occhi come allora, davanti alla commissione di maturità. Di sicuro ho la lingua fuori, stretta tra le labbra, me lo dice, dopo, la foto che mi invia un’amica dal pubblico.
I casi sono due: o scrivo un libro all’altezza di Elena Ferrante, e scompaio mentre il mio fulminante successo viaggia per il mondo tradotto in trentasei lingue, o comincio a lavorare seriamente sulla mimica facciale e sull’elaborazione di semplici frasi dal senso compiuto, nel fortuito caso mi ricapitasse di essere davanti a un pubblico.
Intanto, magari, cercherò di terminare il romanzo, che sarebbe già un successo. Ma prima devo distruggere il piccolo verme malvagio, che sta lì, in agguato, pronto a boicottarmi. E mi sussurra piano, di notte, che non ce la farò. Fa sembrare semplice mollare tutto.
Niente. Devo proprio disintegrarlo.
Ah, dimenticavo: il ragazzo dalle mille idee si chiama Simone, l’editrice coraggiosa si chiama Katia, e il libro si chiama Misteri e manicaretti con Pellegrino Artusi, Edizioni del Loggione.

MOTORINI


-Voglio il motorino!-
-Capisco. Ti sei divertita?-
-E’ stupendo mamma.-
Passo indietro. La scuola si fa carico dell’educazione stradale dei nostri figli, fantastico. Alle elementari li portavano ai giardini, gli insegnavano ad attraversare la strada, a guardare con attenzione il semaforo, l’omino che lampeggia, l’arancione, le strisce pedonali. Poi è arrivato il turno della bicicletta, sempre ai giardini, i birilli per terra, il caschetto con cui si passavano i pidocchi, le buone regole della circolazione, tipo le mani sul manubrio.
Secondo me poteva bastare.
Invece no, la scuola si è modernizzata, è al passo coi tempi, i professori mandano i compiti via WhatsApp, per falsificare una giustificazione bisogna essere un hacker, tra un po’ il colloquio con i docenti si farà in facetime.
Perché stupirsi?
-Mercoledì c’è la prova in motorino-
-Ah si? E in cosa consiste?-
-Boh, un test in aula, ci spiegano alcune cose, poi ci fanno provare a guidare-
-Bello- aggiungo perplessa, ma in fondo la invidio.
Il messaggio ‘voglio il motorino’ è delle  9 59, poi alle 10 28 ‘sono caduta’ con faccina che ride. Cosa ci sarà poi da ridere non so.
-Ti sei fatta male? Chiedo
-No, no- Altra faccina che ride.
Ma che bisogno c’era, dico io, di questa simpatica gitarella in motorino? Non bastava, un giorno sì e uno no, l’elenco tutti quelli che hanno preso la patente, di quelli che hanno ereditato il motorino dal fratello, di quei genitori fantastici e meravigliosi che hanno promesso che forse, per la promozione…

-Dai, raccontami, sono curiosa.-
-Allora prima abbiamo fatto un po’ di teoria, poi abbiamo fatto delle prove al simulatore-
-Al simulatore?-
-Sì, tipo un manubrio collegato a un monitor che simula la strada, il traffico, etc, solo che sbucano pedoni all’improvviso, incredibile!-
-Beh può capitare in effetti.-
-Ah io ne ho investiti tre o quattro!-
-Davvero? Che simpatica.-
-Mamma ma è un simulatore, e pi non hai la visione laterale e neppure gli specchietti-
-Beh gli specchietti con i pedoni non è che aiutino un granché-
-E poi un camion ha frenato di colpo e ci sono finita dentro, pensa tu.
-Scusa e la prova pratica?-
-Niente, ho accelerato in curva, ho preso tutti i birilli e sono caduta-
-Ti sei fatta male?-
-No, niente, solo un graffio-

Bilancio della lezione di educazione stradale a bordo delle due ruote: quattro pedoni investiti, sei incidenti con altri mezzi, di cui due potenzialmente mortali, circa dieci incidenti da sola (non ricorda) nessuno mortale,  una sola scivolata reale con piccola escoriazione su interno caviglia.

-Credo che andrai in autobus ancora per un po’!-
………….
-Mamma? Mamma?-
-Cosa c’è?-
-Niente, sono dovuta scendere dall’autobus perché c’è stata una rissa-
-Una rissa?-
-Sì, un tizio ha tirato un pugno contro il vetro del conducente che si è frantumato.-
-e adesso?-
-Aspetto un altro autobus, certo, se avessi il motorino…