giovedì 24 maggio 2018

SCENA MUTA



Filosofia è la materia che ho portato come prima all’orale di maturità, Henri Bergson era la domanda a piacere che avevo preparato, perché avevano garantito di farla a tutti, così, per sciogliere la tensione. Bene.
Raffaele Ghidini fece l’orale prima di me e l’ultima domanda che dell’esaminatore fu su Henri Bergson. Fine della domanda a piacere. La mia tensione, quindi, l’unica, a essere alle stelle.
Il programma era lungo eterno, io credevo di avere più tempo e misi la croce sopra alcuni capitoli: L’io-non io di Fichte, Ludwig Feuerbach, e la critica della ragion pratica di Kant.
Uno due tre, le prime domande del mio orale di maturità, nella mia materia. Scena muta. Quattro. Non male.
Sono passati quasi trent’anni, ma lo sguardo della mia professoressa di filosofia lo ricordo ancora, il modo in cui arricciò le labbra e scosse la testa. Io abbassai le palpebre qualche secondo, per sentirmi, da sola,  un piccolo verme inutile.

Diventi adulta, impari tante cose, ti impegni, lavori, magari scrivi, e sogni. Che cosa? Quello che sognano tutti gli scrittori: di pubblicare un libro, un racconto, di vederlo andare in giro, di sapere che qualcuno lo ha letto, lo ha capito.
Il piccolo verme inutile dorme da tempo, non disturba. Solo ogni tanto si affaccia timido, mi ricorda che è sempre lì, in agguato, pronto a saltare fuori alla prima soddisfazione.
Eccolo qui, torna fuori alla libreria Ambasciatori, luogo dove ho assistito a presentazioni, cercato libri, idee, ascoltato scrittori, quelli bravi, raccontare di romanzi, quelli belli, fantasticando, un giorno, di essere là, dall’altra parte.
Oggi è così, merito di un ragazzo con tante idee, di un gruppo solido  e stimolante, di un’editrice coraggiosa e di una raccolta di racconti. Nostra. Piccolo sogno che si avvera.

Ma il piccolo vermetto è lì, di fianco a me, e chissà come, mentre un giornalista mi allunga il microfono, si insinua tra le mie corde vocali e dice: No, grazie. No grazie. Grazie, no. Neanche fosse Cyrano de Bergerac.
Non sono certa, ma credo di avere abbassato gli occhi come allora, davanti alla commissione di maturità. Di sicuro ho la lingua fuori, stretta tra le labbra, me lo dice, dopo, la foto che mi invia un’amica dal pubblico.
I casi sono due: o scrivo un libro all’altezza di Elena Ferrante, e scompaio mentre il mio fulminante successo viaggia per il mondo tradotto in trentasei lingue, o comincio a lavorare seriamente sulla mimica facciale e sull’elaborazione di semplici frasi dal senso compiuto, nel fortuito caso mi ricapitasse di essere davanti a un pubblico.
Intanto, magari, cercherò di terminare il romanzo, che sarebbe già un successo. Ma prima devo distruggere il piccolo verme malvagio, che sta lì, in agguato, pronto a boicottarmi. E mi sussurra piano, di notte, che non ce la farò. Fa sembrare semplice mollare tutto.
Niente. Devo proprio disintegrarlo.
Ah, dimenticavo: il ragazzo dalle mille idee si chiama Simone, l’editrice coraggiosa si chiama Katia, e il libro si chiama Misteri e manicaretti con Pellegrino Artusi, Edizioni del Loggione.

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