martedì 25 giugno 2019

LETTERA LEGO

Lettera aperta a Niels B. Christiansen, Ceo Lego Group
Ciao Niels,
Scrivo questa lettera incurante del fatto che avrai fior fiore di consiglieri, tester, ingegneri, fanatici, e chi più ne ha più ne metta.
Io sono solo una mamma, mamma di un bambino soggiogato, stregato, rapito dai magici mattoncini che una volta costruivano solo casette e invece oggi, com’è giusto che sia, fanno concorrenza a ingegnerie navali, aerospaziali et cetera et cetera et cetera.
Noi personalmente siamo vittime dei mezzi di trasporto. Costruiamo in sequenza: macchine della polizia, elicotteri di soccorso, monster truck, poi, per rendere avventurosa la questione, abbiamo un paio di macchine sportive, decappottabili, tutte dei ladri, e sarà un caso? Poi abbiamo un trattore per la raccolta del legname, un dumper, un demolitore e un’autoscala dei vigili del fuoco.
Da domani, avremo anche un piccolo aereo da trasporto.
C’è anche un piccolo ma nutrito set di personaggi, un paio a confezione: poliziotti, pompieri, ladri, appunto.
Ieri, la domanda che mi ha spinto a questa lettera. Perché non c’è una pompiera femmina?
Già, perché non c’è? I poliziotti sono tutti uomini, così come i ladri, e naturalmente gli addetti ai mezzi agricoli.
Abbiamo soltanto una ragazza, ma non ricordo di quale confezione faccia parte. Probabilmente è una passeggera dell’elicottero. O una vittima di furto.
Quindi questo è il primo appunto che mi permetto di fare. Perché immagino che nei lego Friends per le femmine dove abbiamo furgoni del gelato, pulmini scolastici, persino ospedali e scuole, qualche donna ci sarà. quindi, in sostanza: più donne nel reparto sicurezza e criminalità. Per par condicio.
Gli appunti del bambino di cinque anni finiscono qui, forse ha qualcosa da ridire anche sul gancio dell’elicottero e sulla fune che si ingarbuglia sempre, ma soprassiede almeno per il momento.
Io invece, che non sono una bambina da un bel pezzo, e che sono l’addetta al riordino serale delle macerie lego, ho un paio di richieste, preghiere, suppliche.
Sono certa che altri, come me, abbiano serie difficoltà nel raccogliere alla fine di una giornata di lavoro, tutti i benedetti fanali dei mezzi che sapientemente li rendono così verosimili. È che hanno un diametro non superiore ai 6 mm, si infilano ovunque, l’altro giorno ne ho trovato un paio sotto il cuscino, un’altra mezza dozzina nella ciotola del cane, qualcuno è finito anche nelle mie scarpe da ginnastica.
Ecco, se potessimo trovare una soluzione a questa storia dei fanali, io sarei una donna migliore, più serena.
Ti faccio notare che alcuni di questi micro pezzi sono trasparenti, ripeto, trasparenti. Suppongo per simulare l’effetto vetro, ma credimi, è eccessivo. Troppo veritiero. I bambini, si sa, hanno bisogno di fantasia. E te lo dice la madre di un grande perfezionista. Che però, pure lui, a un certo punto, desiste, e dice:
‘Mamma, mettiamone uno blu che fa lo stesso’. Amore mio.
L’ultima minuscola critica, propositiva, sia ben chiaro, riguarda l’assoluta mancanza o relativa disponibilità di alcuni mezzi. Voglio dire. Perché deve essere così difficile trovare un’ambulanza lego city 4-7 anni? Noi facciamo incidenti quotidianamente, in macchina, in aereo, veniamo investiti da macchine di ladri in fuga anche più di una volta al giorno.
Domani mio figlio compie cinque anni, e non sono riuscita, neppure con largo anticipo, neppure su Amazon, a trovare uno straccio di medico a bordo di una fiammante ambulanza.
Ecco, credo che su questo potresti lavorarci. Comunque, perché tu dorma sonni tranquilli, volevo dirti che ho ripiegato su un mini calcio-balilla. Spero che mio figlio apprezzerà. Se non sarà così, ti riterrò personalmente responsabile.
Naturalmente ho scherzato. Sono una mamma, vorrei essere anche una scrittrice, ho scritto questo post per un solo, stupido motivo.
Auguri amore mio. Buon compleanno.
#legocity#auguri#NielsChristiansen

THIERRY

Cara mamma di Thierry, non so nulla di te se non che sei francese, e che hai una figlio di quindici anni dagli occhi solari e il sorriso caldo.
Sarai una mamma come me, probabilmente ti lamenti anche tu delle stesse banali cose: la camera in disordine, il telefono sempre in mano, le serie Netflix in cui si si sono persi qua e là i nostri figli.
Farai del tuo meglio, come me, come tutti, per sopportare le loro risposte a monosillabi, i loro sbalzi umorali, senza che nessuno mai si accorga di quanto sia faticoso mantenere l’armonia.
Invece oggi succede questo.
Siamo ai giardini, in quella piazzola vicino alla baracchina dei gelati, dove Davide, da anni, organizza il mini circuito delle macchine elettriche, e l’anello dove corrono i grilli.
Mio figlio, che ha cinque anni, e non ha esattamente una guida sicura, è quello con il casco giallo, quello che frena di colpo, quello che taglia la strada, quello che guida guardando indietro, quello che si diverte nei fuori strada sull’erba, quello che, durante il giro, mima il rumore delle auto da formula uno, meeeeeeee, meeeeeeeee.
Io sono quella sulla panchina che urla ‘vai dritto’, guarda avanti, il più delle volte ho lo sconforto in faccia, e lo so che non dovrei, ma è più forte di me.
I grilli si pagano a tempo, venti minuti mi sembra un tempo sufficiente, il bambino mi pare stanco e sudato. Come al solito gli dico: ‘ultimo giro’, e come al solito finge di non sentirmi.
Al terzo ultimo giro mi pianto in mezzo alla pista e con la forza prendo il grillo e lo riporto fuori dall’anello.
Parte il solito cinema, url, pianti. Alla gente paiono capricci, un po’ lo sono un po’ no.
Lo sconforto sulla faccia è sempre lì, oramai lo domino molto bene. Semplicemente sto lì e attendo che passi la crisi. Passa sempre, e passa più in fretta se non cedo al panico e agli sguardi giudici delle persone intorno.
Il piccolo mi lancia il casco con tutta la rabbia che ha, ‘Sei un mostro’ - dice.
Paro il colpo con destrezza, dico ‘Si sono un mostro’.
Ti sembrerò una pazza, ma ti scrivo perché proprio in quel momento, quando lo sconforto ha lasciato il posto a sommessa rassegnazione, dietro di me c’è un gruppetto di ragazzi, vogliono fare una gara di grilli, avranno quindici o sedici anni, e ce n’è uno che mi si avvicina, ha i capelli corti biondo castano, gli occhiali da sole, e questo sorriso da padrone del mondo.
Mio figlio si è rintanato nella capanna di Davide, che sembra una ferramenta, e dice che vuole vivere lì con lui, per sempre.
Il tuo ragazzo entra, si toglie gli occhiali, chiede a mio figlio il nome, qualche altra cosa, gli dice ‘ti ho visto, vai forte. Dammi un cinque.’
Giorgio glielo dà, poi esce dalla capanna, è allegro e sorridente. Del fatto che sono un mostro, non si ricorda, oppure mi ha perdonato. Gli allungo la mano, lui la prende. Io pago e poi vado a salutare questo ragazzo che non sa nulla di me, delle mie fatiche quotidiane, di mio figlio.
Potrei scrivere altre cento righe piene di retorica, ma non lo farò.
Vorrei solo che questa lettera rimbalzasse nella rete e arrivasse fino a te, perché a me piacerebbe saperlo se mia figlia avesse, un giorno, con leggerezza e candore, fatto un gesto minuscolo, che invece è di più, molto di più.

MATEMATICA PASSIONE

Era un vita che aspettavo questo momento. Niente di eclatante, non temete. Ho soltanto passato un paio d’ore a fare matematica con mia figlia. Equazioni di secondo grado, disequazioni, sistemi a due incognite, costanti, grafici.
Lo so, rischio molto, ma non vedevo l’ora di rimettere un’equazione sugli assi cartesiani.
E’ chiaro che non sto bene, che il senso di benessere procuratomi dalla risoluzione di un problema di analitica, non è un buon segno, che sperare di trovare una x che tenda all’infinito ha qualcosa di insano. Lo so.
Quello che non so, è da dove venga: forse un problema irrisolto di gioventù, qualcosa che appartiene alla terza liceo, per forza, quando la mia professoressa leggeva il libro di trigonometria, seduta alla cattedra, con voce monocorde, poi alzava gli occhi e diceva: avete capito? No.
Fu un professore magico che dava ripetizioni ad aprire quel mondo lì, della matematica, e lo fece con grande potenza e passione. Tanto che mi è rimasta appiccicata addosso.
Torniamo a oggi, a una madre e una figlia sedute al tavolo a risolvere problemi: la madre è po’ piena di sé, spocchiosa forse, la ragazzina ha talento, ma non si applica.
La madre dice: “facciamone un altro”, la ragazza risponde piccata: “senti fallo tu se ti diverti tanto, io sono stanca.”
Lei si vergogna e posa la penna, ma in effetti avrebbe voluto proseguire.
La conclusione infelice del pomeriggio è stato un quattro e mezzo nella verifica, e, come giustamente aveva sottolineato, tempo prima, la ragazza, che ribadisco, ha talento: sapere fare una cosa e saperla insegnare sono due cose diverse. Chapeau.
In ogni modo siamo finite su skuola.net e devo ammettere che ho qualche perplessità su un sito che organizza ripetizioni e scrive scuola con la K, ma andiamo avanti, le ultime persone che hanno dato lezioni di fisica in casa nostra hanno tutte trovato un lavoro serio in qualche azienda, cosa che dà da pensare, e anche qui soprassediamo, iscriviamoci a questo sito e incontriamo Giacomo C. Diamo il beneficio del dubbio a Giacomo C. che dopo due ore di ripetizioni esce dalla stanza di Giulia, mi saluta, facciamo un paio di convenevoli sulla scuola, finché lui si gira verso di lei e chiede: “che classe fai tu?”
Cioè?
In due ore l’argomento scuola classe programma non è neppure stato sfiorato? vi siete buttati direttamente sulle leggi della dinamica??? Faccio la battuta, nessuno ride.
Com’è serio Giacomo C. Speriamo che sia almeno laureato.
-Tranquilla!-dice Giulia- la laurea la controlla skuola.net.-
-Certo. Come no? Cambiamo argomento, Come sono andate le Invalsi?-
-Tanto non fanno media-
-Ho capito, ma come sono andate? -
-Matematica abbastanza bene, italiano così così, c’erano delle parole che non ho mai sentito.-
-Tipo?-
-Scelba-
-Tranquilla.Non la so neanch’io. E poi?-
-E poi un nervoso! C’era un esercizio sul CQ e ho scritto taccuino con la C, accidenti!-
-Ma taccuino si scrive con la C.-
-Ah davvero? Meglio allora, uno l’ho fatto giusto.-

ACCADE IN GIUGNO

Giugno lo amo, pazzamente. Più di tutti gli altri mesi dell’anno. Perché? Chi lo sa. Forse perché finisce la scuola, forse perché le giornate sono lunghe. Forse è il profumo di gelsomino. O forse perché ho l’impressione che le cose, in giugno, accadano, o possano accadere.
Sono arrivati in sequenza: un sei in matematica, e una promozione certa, nessuno smistamento di classe, una raccolta di racconti a cui tengo molto, e un’altra a cui sto lavorando con grande amore.
Poi mi viene in mente che in giugno, vent’anni fa esatti, mi sono pure fidanzata, e lo ricordo come uno dei momenti più belli della vita, quando pure ignoravo che cosa davvero avrebbe significato quella persona per me.
Così ho pensato: festeggiamo, scappiamo un giorno e mezzo, dimentichiamo per un giorno tutto il resto.
Certo. Ma perché farlo proprio su un pezzo di pietra di duemila anni a guardare Elena di Troia?
E perché no? E’ giugno. E poi io una bavetta all’aragosta così mica l’ho mai mangiata. Assassina. Si muoveva ancora.
Senza contare che è arrivato il caldo, finalmente. Mi scopro più tollerante e pacifica. Per esempio ieri mi sono sorbita quattro ore e mezza di un seminario sulla deontologia professionale. Quattro cfp. Che poi un giorno vorrei sapere il nome e il cognome di chi li ha inventati, i benedetti crediti formativi. Ma andiamo avanti. Ascolto anche con un certo interesse, almeno parto senza pregiudizi, anche se mi domando il motivo per cui, io, che sono architetto, debba seguire un seminario organizzato da avvocati, e avvilirmi con preoccupazioni varie su cause per negligenza da qui a trent’anni. Ma andiamo avanti.
Oggi, che è sempre giugno, accade che con una velocissima e impersonale mail mi avvertono che: ‘Spiacenti, i crediti non sono validi, non ha seguito il seminario in maniera corretta.’
Cioè? Scherzate? Sono stata anche attenta, interrogatemi, so tutto, non ho neppure dormito stanotte pensando a qualche leggerezza compiuta dieci anni fa che potrebbe costarmi, non dico la galera, ma multe sì, e salatissime, a quanto ho capito.
È così, come sempre, bisogna lottare anche per le cose che sono giuste di diritto. Raramente c’è qualcosa che fila liscio di suo. Bisogna alzare il telefono, mandare mail, chiedere di verificare, a volte anche pregare. E poi prendersi pure il rimprovero, Sì il rimbrotto della segreteria dell’ordine. A quarantacinque anni devo farmi sgridare, perché ho fatto 18 accessi.
‘Lei capirà, architetto, che è ingestibile.’
Poco importa se avevo problemi di connessione, se stavo seguendo i progressi di mio figlio nel corso di abilità sociali, se ero in macchina a prendere mia figlia al gym-camp, se recuperavo i miei genitori dal dentista per accompagnarli a casa, se con un orecchio ascoltavo le implicazioni penali della direzione lavori, e con l’altro ascoltavo mio padre parlare di barche a vela.
'Mi dispiace signorina, io, attualmente, quattro ore e mezza completamente libere per stare davanti a un computer di martedì pomeriggio, non le ho. Oppure le ho così, mente faccio altre cose non meno importanti. Se non le va bene, amen. Mi dispiace che abbia dovuto manualmente, ebbene sì, manualmente, conteggiare i minuti dei miei diciotto accessi, che sono 227, comunque le faccio notare che ha fatto una somma, un’operazione da terza elementare, e sono certa abbia pure usato la calcolatrice.’
Ecco cosa avrei voluto dire.
Però è giugno. Accadono cose. Perlopiù belle, bellissime.
-Ha ragione, mi scusi, non capiterà più.- Dico
Tanto mica lo sa che le ho mentito.