martedì 8 agosto 2017

BYE BYE

Luglio è un mese pericoloso che nasconde insidie. É il caldo di sicuro. O lo stress, o tutti e due, uniti a questa sindrome da fine del mondo che attacca come un virus influenzale più o meno tutti.
In questo clima torrido anche la più stupida telefonata del termotecnico che ti chiede lo spessore di una parete può scatenare l’ira più funesta.
La sensazione è quella: non averne più, di pazienza, tempo, diplomazia, forse anche educazione.
Ed esplodere. Che ogni tanto ci vuole perché esiste un limite sacrosanto al numero di cose che bisogna assolutamente fare prima della ‘pausa estiva’.
Comunque non sono un medico, non salvo vite, tre settimane di assenza non produrranno nell’universo mondo nessuna significativa alterazione.
E dire che qualcosa di buono questo luglio ha lasciato: intanto Giorgio è ingrassato un chilo, merito di mia madre e del suo magico frullino, o non di che altra combinazione magnetica. Quello che sia, io non ce l’ho, perché è da due giorni a casa e non riesco ad avvicinarmi con il piatto che dice ‘bleah che puzza’.
Di bello ci sono anche le mie ragazze, quattro piccoli animaletti che mangiano a letto tra briciole, sabbia, vestiti, caricabatterie, dischetti struccanti, kinder, cartacce, ancora sabbia, ancora briciole.
In bagno ho contato otto spazzolini, ho tentato in maniera blanda di ristabilire un minimo di decoro, non ci sono riuscita. Però ho stemperato una lite tra sorelle, ho dato consigli sull’outfit serale, ho generato l’acquisto di sandali tacco dieci da parte di una diciassettenne (poi abbandonati), ho studiato la personalità di queste quattordicenni, quindicenni, diciassettenni, ho fotografato una ragazza seduta sul davanzale, con un bambino che la copiava sul davanzale a fianco, ho indagato su fantomatici fidanzati, ho fatto finta di non capire, di non sapere quale sia l’unico motivo al mondo che ti fa uscire di casa alle otto del mattino.
Perché a loro piace pensare che noi adulti siamo vecchi, rincoglioniti, e bacchettoni. Anche se non lo siamo, anche se i nostri diciassette anni erano ieri l’altro, anche se alla Villa delle Rose ci siamo stati prima di loro, e ne conserviamo una foto che immortala quello che sarebbe diventato un matrimonio, due figli e un cane. Quindi neppure troppo tempo fa.
Io penso a un film di Monicelli, di almeno trent’anni fa: Speriamo che sia femmina. E rivedo questa tavola di donne: sorelle, cugine, amiche. E se lì qualcuno scappava per andare al concerto di Ron, noi qui siamo in batteria su Ticketone per comprare Ed Sheeran, però la differenza in fondo è poca. C'è giusto un bambino molesto che cerca di farsi notare, e onestamente, dato che si parla di mio figlio, non mi va di paragonarlo allo zio Bugo, anche se, in effetti, una qualche parentela ci potrebbe pure stare.
Ma è lo stesso, il cemento che sento saldo sotto il tavolo legare i piedi di queste ragazze, mi dà sempre una grande gioia, mi fa dimenticare la fatica di questo fine luglio imbarazzante, mi fa guardare avanti nel loro futuro che spero luminoso ed elettrizzante. Chi sta per partire per i Canada nella più beata incoscienza, chi deve cominciare il liceo e questa estate non apre un libro, chi sta diventando una ragazza solida e più sorridente di come la ricordavo, chi ha gli occhi limpidi e diretti.
Comunque luglio è finito, noi siamo in transito per le Marche direzione Puglia, una puntata a Loreto a prendere la benedizione della Madonna non me la leva nessuno, perché l’ultima cosa che ho chiesto mi dorme qui di fianco.
Questa volta non chiederò niente, solo un po’ di riposo ed energia. In macchina c’è un fenicottero rosa da gonfiare, un canotto dei Pjmask, braccioli, salvagente, secchielli, palette, una bici pieghevole, un cane, e noi. Secondo me c’è tutto.