venerdì 27 luglio 2018

Loro due


La giovane bevitrice di caffè, e anche di birra, ho poi scoperto, è tornata.
Per vederla al tornello di uscita dell’aeroporto, abbiamo preso la macchina, fatto cinquecentododici chilometri tra andata e ritorno, naturalmente di notte, perché a noi, piace vincere facile.
Comunque eravamo lì, tutti e due, all’una, con l’espressione sconfitta di chi ha lavorato tutto il giorno, ha dormito poco e male, e ha patito il caldo afoso. Con lo sguardo diffidente di chi proprio non ha il coraggio, lì, agli arrivi Schengen di Malpensa, di parlare con altri genitori, mai visti, dell’esperienza unica dei propri figli.
Ci ha telefonato mentre aspettava il bagaglio, per assicurarsi che fossimo lì, non in ritardo come avevo prospettato.
Qualcuno ha lasciato la carta di identità sull’aereo, ti pareva, il gruppo è compatto, - bisogna aspettare- dice la signora Pasqua, coordinatrice, -in una mezz’oretta dovremmo farcela.-
-Mezz’ora?- guardo l’orologio, è l’una
-Vieni fuori, ringrazia tanto la signora Pasqua da parte mia, ma noi andiamo.
Così vengono fuori, lei e la sua amica, la intercetto per prima, le vado incontro, la abbraccio, sono così felice di vederla che vorrei tenerla stretta per un tempo interminabile, però mi stacco, perché voglio anche guardarla bene in viso, gli occhi, i riccioli sulle tempie, o forse è lei che si allontana, solito riccio respingente.
Si avvicina a suo padre, che la avvolge, conosco bene la potenza rassicurante di quell’abbraccio, e la guardo appoggiargli la fronte sul petto, la testa che scompare tra le sue braccia. Quando riemerge i suoi occhi sono lucidi di lacrime.
Che mia figlia abbia con suo padre un rapporto splendido mi rende felice, è ovvio. Che sia un po’ invidiosa della sintonia naturale, dell’alchimia, del loro sentirsi, o parlarsi con gli occhi, altrettanto.
Voglio dire, con tutto quello che ho fatto io nella vita per lei, o anche solo con lei.
Con tutto il tempo, le parole, l'amore, e poi di nuovo il tempo, le parole, o il silenzio, per ascoltare.
Eppure lei si commuove a rivedere lui. non me.
È meraviglioso-direte- lo è, in effetti, per la ragazza che è oggi e per la donna che sarà domani. Una fortuna. Un dono. Un’armatura.
E io sono gelosa.
Questi i miei pensieri, mentre camminiamo nei corridoi dell’aeroporto, loro due avanti di qualche passo, io dietro, curva di stanchezza, gli occhi al pavimento.
-Ma è lui?-
-Lui chi?-
-Lì, sulla panchina, guarda, sì è proprio lui, che faccio? Gli dico qualcosa?-
-Ma sei matta? È l’una e un quarto!-
-E allora? Dite che è una brutta figura?-
-Mamma per favore, andiamo.-
-E se ci fosse Fedez su quella panchina? Non ci andresti di corsa?-
-Ma ti sembra Fedez quello lì?-
-No. In effetti.-
Desisto, è tardi, mi stringo nelle spalle e li seguo mesta. Solo ogni tanto, giro la testa.
Loro si guardano, scuotono la testa. Si parlano con gli occhi,  credo dicano:
-Abbi pazienza è fatta così.-
-Però è simpatica.-
Torna la voce:
-Papà ma chi era quello?-
-Lo psichiatra, quello che piace alla mamma, quello che parla di famiglia, quello della trasmissione su Rai tre.
-Recalcati. Si chiama Recalcati!- urlo da dietro
-Chi?
-E me lo paragoni a Fedez?

#she'sback#padriefiglie#recalcati

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